Una delle trappole narrative in cui si può rischiare di cadere è quella che alcuni chiamano “spiegone“, un modo poco tecnico per definire la tendenza di certi autori a spiegare le loro scelte narrative all’interno della storia, per esempio fornendo informazioni dirette sull’ambientazione, riassunti riepilogativi, caratteristiche fisiche o psicologiche dei personaggi.
I grandi narratori, lo ripetiamo, non spiegano mai il senso delle loro scelte, questo perché narrare vuol dire convertire un’idea in azione. La narrazione deve essere già sufficiente, per il lettore, a dimostrare l’esistenza di una storia, a renderla credibile e vivibile in termini emotivi, non dovrebbe essere necessario, dunque, argomentare a favore delle scelte narrative fatte. Il lettore non è interessato – o lo è solo raramente – al dibattito di idee, a quello che l’autore pensa, a ciò che sarebbe più opportuno che i personaggi facciano in una determinata situazione in base a un elenco di opportunità riportate in lunghi riassunti o digressioni. La scrittura introspettiva è solo una scappatoia inconsistente, perché alla fine risulta chiaramente essere il punto di vista dell’autore passato attraverso i presunti pensieri del personaggio.
Le spiegazioni delle idee dell’autore riducono l’impatto emotivo e narrativo della storia; la visione dell’autore va espressa, invece, mediante le conseguenze che seguono alle scelte fatte dai personaggi ed è in questo sviluppo causa-effetto che tutte le motivazioni autoriali dovrebbero emergere con i loro significati espliciti e impliciti e con tutte le implicazioni etiche, morali e valoriali.
Spesso i dialoghi non funzionano perché diventano un dibattito, non fra i personaggi, ma fra l’autore e i suoi lettori, una sorta di comizio in cui chi scrive espone le proprie idee. Ma il dialogo dovrebbe essere una conversazione spontanea, naturale conseguenza del pensiero e delle azioni dei personaggi, per cui dovrebbero emergerne personalità, parole, scelte morali, sentimenti, caratteristiche fisiche dei personaggi. Immaginiamo che l’idea dell’autore sia che “il tradimento è la cosa peggiore che possa accadere a una coppia”, i meccanismi della narrazione efficace gli chiedono non di spiegare le sue motivazioni o i suoi presupposti, bensì di esprimere questa visione mediante le scelte dei personaggi e, soprattutto, narrando le conseguenze di tali scelte.
È bene sempre ricordare che lo scopo di una storia non è spiegare, ma rendere credibile: il lettore non deve solo capire, deve credere che la storia sia vera, o il più possibile vicina alla verità. Per questo i grandi narratori non spiegano e non interferiscono con la storia, insinuandosi apertamente fra le righe, nei dialoghi, nelle descrizioni, esaltando solo il loro punto di vista. I grandi scrittori operano in modo che la storia si sostenga attraverso la dinamica degli eventi. Qualunque sia il genere scelto, il significato di quanto narrato non va spiegato, ma messo in scena.
È un po’ quello che, a volte maldestramente, alcuni racchiudono nell’ormai famoso detto show don’t tell, qualcosa di molto più profondo di un semplice mostra non dire. La storia va, appunto, messa in scena, espressa emotivamente, condensata intorno a effetti forti, sia retoricamente che stilisticamente. Show don’t tell non vuol dire non descrivere i personaggi ma mostrarli in azione: vuol dire mettere in scena gli eventi e dare corpo a una narrazione efficace, anche con il telling, se serve, ma nel modo opportuno e al servizio della storia.
Nel romanzo che ho scritto, un personaggio spiega in maniera diretta e dettagliata la sua visione spirituale dell’esistenza, in un dialogo lungo molte pagine. Lo stesso viene ripreso e approfondito in più momenti nel corso della storia, e supportato dalle vicende. Tuttavia la natura stessa di questa visione spiegata rende impossibile una sua conversione in dinamiche causa-effetto, come suggerisce l’articolo.
Pensi che rientri nell’errore esposto dall’articolo? Che il lettore possa trovarlo un approfondimento superfluo e perciò noioso?
Grazie e complimenti per l’articolo!
Ciao Giuseppe, dipende dal genere narrativo, se si tratta di un romanzo filosofico o che porta a riflessioni e introspezione, sviluppando meno la trama vera e propria, può andare anche bene.
Scusami il ritardo nella risposta, ma il sistema era bloccato.
Buona scrittura!