Il marchio del dilettante non è come il marchio delle streghe, non si finisce sul rogo, ma non è comunque piacevole dare l’impressione di essere degli scrittori dilettanti ed è bene che si approfondiscano le questioni di stile, per migliorarsi -sempre- anche se già si firmano molti autografi con dedica.
Similitudini fantasiose a parte, ci sono effettivamente dei segnali che possono indicare al lettore con che tipo di scrittore si sta interfacciando (magari prima di comprare il libro, con un’occhiatina veloce) se un semplice narratore senza grande esperienza ma tanta buona volontà, oppure, qualcuno che sappia esattamente cosa sta facendo: un professionista della parola.
Esuliamo qui dall’atteggiamento dell’autore, che in genere è la spia più evidente della scarsa professionalità, e appropriamoci di uno straordinario motto: “Nessuno nasce imparato”.
Però tutti possono studiare e apprendere i segreti della scrittura evitando di fare errori, lo richiederebbe soprattutto un profilo professionale. Magari il primo libro manifesterà qualche errore, nessun problema: il secondo ne avrà di meno; lo stile matura con lo studio, l’esperienza, la disciplina e soprattutto l’umiltà. Raccogliere i commenti negativi e farne tesoro, ringraziando per quelli positivi.
Proviamo a individuare, dunque, questo famigerato marchio del dilettante il quale, in verità, ha molteplici aspetti e può insinuarsi in vario modo nel romanzo, vediamone solo un paio dei più lampanti.
Primo marchio del dilettante è l’utilizzo anarchico – quasi insurrezionalista – della punteggiatura (io lotto costantemente con i segni di interpunzione nei miei libri; non è un ambito semplice in ogni caso) per cui virgole, punti, punti e virgola e via dicendo sono utilizzati secondo una logica misteriosa. È vero, anche Joyce aveva sperimentato la punteggiatura, ma il suo era un meditato flusso di coscienza, qui si tratta di puro flusso di incoscienza.
Ai lettori non piace essere presi a bastonate dai punti esclamativi, disposti anche a mazzi di due o tre. Spargerne a larghe manciate da’ l’impressione che i personaggi siano dei banditori di aste pubbliche: Vide qualcuno oltre la porta! Si sentì chiamare! Decise di farsi una doccia! Vado a prendere un caffè! Ho bisogno di parlarti! Mi passi il sale!!!
Ci sono anche autori indecisi i quali preferiscono che a scegliere tra tono di domanda o esclamazione sia il lettore: Vieni con me?!?!
Oppure l’autore vuole che il lettore scopra chi ha ucciso il punto e virgola e quindi non lo utilizza mai. Tutto è possibile!
Il secondo segno di presenza del marchio del dilettante è senza dubbio l’abuso di attributivi fantasiosi. Gli attributivi seguono una battuta di dialogo, il più frequente è “disse” o “dice”, che non da’ alcun fastidio e passa inosservato. Temendo di ripetersi, l’autore può decidere di slanciarsi in fantasiose attribuzioni che vanno oltre il blaterò e arrivano all’inverosimile pur di sostituire il disse come: bofonchiò, declamò, sibilò tra i denti, sputò in punta di lingua, digrignò, dissertò, relazionò, sottoscrisse, sproloquiò, masticò, ringhiò, diede aria ai denti, diede fiato alle trombe, ciarlò, argomentò.
Sono tutti esempi tratti da libri pubblicati. Alcuni sono certo ammissibili, se coerenti con la battuta di dialogo che li precede, ma un «Passami il sale», dissertò; non suona proprio così bene.
Il marchio del dilettante non riguarda solo gli autori esordienti, tra i quali, a volte, si nascondono veri e propri talenti; il marchio del dilettante riguarda tutti noi, ogni volta che, scrivendo, dimentichiamo che avremo sempre un debito con ogni singolo lettore, con gli scrittori che ci hanno preceduto e donato qualcosa attraverso i loro scritti, infine con la letteratura, quella vera, quella che al massimo fuma i sigari di Hemingway e non “sfuma”.