Perché scriviamo? Domanda non banale, anche se tutti coloro che scrivono (e che quindi faticano scrivendo) se la sono posta almeno una volta. Il fatto è che la scrittura attiva la forma di pensiero individuale, organizzato e coerente, per questo ci permette di organizzare e interpretate le informazioni e, quindi, il mondo intorno a noi. Nel ben noto film l’Attimo Fuggente, il protagonista, il professor John Keating interpretato da Robin Williams, ci fornisce una delle spiegazioni più motivanti sul perché leggiamo e scriviamo:
Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino. Noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita…”
Gli psicologi esperti di apprendimento della scrittura Carl Bereiter e Marlene Scardamalia hanno elaborato lo studio di due modelli fondamentali del processo di scrittura: “raccogliere le conoscenze” (se vogliamo, una forma di prescrittura) ed “elaborare le conoscenze” (la face centrale del processo di scrittura). Nel primo caso, chi scrive mette su carta i pensieri in ordine cronologico, mentre nel secondo caso seleziona e organizza le informazioni. In generale, l’apprendimento della scrittura richiede un esercizio continuo di tutte e due i modelli, perché gli autori hanno bisogno di chiarirsi le idee su cosa scrivere e devono lavorare su come scriverlo; sempre, ogni volta che danno il via a un progetto nuovo. L’elaborazione del progetto, cioé la pianificazione e lo studio della storia, è una fase essenziali per la stesura di un buon testo scritto, ma molti autori preferiscono affidarsi alla scrittura di getto. Bereiter e Scardamalia suggeriscono di provare a progettare partendo dalla frase finale (o dal finale), oppure da un’immagine che attivi il processo creativo. Altra tecnica utile può essere il riassunto della storia, in pratica la stesura di un soggetto che possa essere poi sviluppato. L’importante sarebbe non rinunciare alla pianificazione, ovvero alla prescrittura che chiarisca almeno gli aspetti più importanti del progetto: nodi di trama, scopi, desiderio dei protagonisti, principio dramamturgico, e via dicendo.
La possibilità di intervenire più volte su un testo è ciò che distingue nettamente il parlato dallo scritto. Tutti gli scrittori di mestiere sanno che la prima bozza non può essere definitiva e che il testo viene scritto di getto una sola volta, ma nelle versioni successive c’è un ponderare le parole, la trama, i personaggi; possono esserci passaggi ispirati, ma questo non vuole dire che siano di getto. La prima cosa da fare nella revisione non è, però, correggere, ma prendere le distanze dal proprio testo e leggerlo con gli occhi dei lettori, per questo la revisione non dovrebbe mai iniziare subito dopo la prima stesura: «Il testo appena uscito dalla penna è ancora un prolungamento del mio cervello e della mia mano, difficilmente riuscirò a concepirlo in forma diversa.» [Scrivere e ri-scrivere: la varietà dei testi]. Bisogna darsi tempo sia per progettare che per revisionare un romanzo (o qualunque altro tipo di testo), senza farsi travolgere dalle pressioni esterne e dall’angoscia del fallimento.
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