I narratologi americani, specie in ambito di sceneggiatura, individuano otto problemi in cui può incorrere una storia, evitarli o porvi rimedio fa parte del mestiere di scrivere.
1. L’INTERESSE DEL PUBBLICO
Spesso la cosa più difficile non è che il lettore inizi a leggere, bensì che rimanga nel testo. Se la storia non è costruita in modo da coinvolgere chi legge, per quanto belle siano le descrizioni e per quanto complessa possa essere la trama, il romanzo verrà chiuso. Ogni giorno vengono pubblicati decine di romanzi, perché il lettore dovrebbe desiderare di continuare la lettura se la storia non lo coinvolge? A ognuno i suoi gusti, senza dubbio, bisogna considerare anche il target, ma per tutti vale la regola della curiosità, perché è questa che spinge qualcuno a proseguire nella lettura, cercando la ricompensa per tanta dedizione in un buon finale. Per alimentare la curiosità del lettore è necessario organizzare le informazioni su personaggi e trama in modo da fornire sempre e soltanto quelle che servono per andare avanti, dosando le aspettative con le dovute anticipazioni, svelando il passato con equilibrati flashback e così via. Ognuno deve trovare il proprio stile e la propria struttura narrativa, in base anche al genere scelto, ma la regola delle informazioni ben dosate vale per tutti. Spiegare tutto e subito ucciderebbe qualunque curiosità. Come scrive il drammaturgo Charles Reade: «Noi possiamo far piangere o ridere il nostro pubblico, ma il segreto sta nel saperlo far aspettare».
2. LA SORPRESA
La sorpresa narrativa non sta nell’inventarsi qualcosa che nessuno abbia mai scritto, anche se l’originalità può essere un ottimo punto a favore delle storie. La sorpresa narrativa, quella vera, sta nel modo in cui i personaggi reagiscono a ciò che accade, al disvelamento della loro interiorità attraverso le azioni o i pensieri in quei generi più introspettivi. La sorpresa sta nell’osservare il modo in cui lo scrittore ha legato il mondo della finzione e quello della realtà, soprattutto quella emotiva, dei personaggi, raggiungendo così i lettori. Quando le aspettative e i risultati non coincidono, questo genera sorpresa. Se invece l’autore inserisce elementi sconvolgenti solo per destare interesse, non suscita sorpresa narrativa, anzi, e, come scrive Aristotele, questa sarebbe la cosa peggiore, perché «sconvolgente senza essere tragico».
3. L’ESORDIO
L’evento scatenate che dà il via alla vicenda dovrebbe avvenire piuttosto presto, già nell’esposizione, o fase iniziale del romanzo. Il problema dell’esordio si verifica quando questo viene posticipato troppo, in questo caso si rischia di non avere il tempo narrativo per svilupparne adeguatamente le conseguenze e trarne tutti i significati che servono ai fini della storia. Non è necessario entrare in media res, ovvero nel mezzo dei fatti, fin dall’incipit, ma senza dubbio non è utile lasciar passare troppo tempo prima che l’evento scatenate si verifichi: un incontro, un incidente, una rivelazione, la manifestazione del fantasma… e così via.
4. e 5. IL PUNTO DI VISTA NELLA SINGOLA SCENA E NELLA STORIA
Il punto di vista è il luogo dove il narratore si colloca per raccontare la scena e dal quale il lettore la osserva, leggendo. Sul punto di vista (anche abbreviato POV) si è scritto e detto tantissimo, ma verità è che non è affatto semplice individuare quello giusto e spesso si scrive a istinto più che a seguito di precise considerazioni stilistiche e narrative. Però, il POV può cambiare completamente il senso di quello che il narratore racconta. Immaginiamo i Promessi Sposi raccontati dal solo punto di vista di Don Rodrigo, le cose cambierebbero radicalmente, perché invece della prospettiva della Provvidenza avremmo quella del “cattivo”, con tutte le sue peculiarità anche introspettive. Se applichiamo lo stesso ordine di cambiamento anche ad altri famosi romanzi classici ci renderemo subito conto di quanto il POV sia essenziale alla narrazione. Tuttavia, il problema più grande non è quello di sceglierne uno, bensì di rispettare le regole di composizione legate a questa scelta. Se il narratore è di tipo onnisciente, la variazione di punti di vista nella storia sarà più che normale, ma se avremo scelto un narratore limitato, sia in prima che in terza persona, queste variazioni di POV diventeranno subito più rischiose e stridenti. L’errore più comune resta il cambio di POV all’interno di una stessa scena, l’unità minima di composizione all’interno della quale deve attuarsi un evento, cioè un cambiamento narrativo, se nella stessa scena lo scrittore cambia il POV senza alcuna coerenza narrativa si rischia il noto effetto head hopping. In generale, il cambio di punto di vista deve tener conto dell’effetto distanza, perché più variamo e meno empatia si svilupperà tra lettore e personaggi, più restiamo con un personaggio (usando il suo punto di vista) e più ridurremo la distanza fra lui e il lettore, aumentando il livello empatico e, quindi, il coinvolgimento emotivo.
6. I BUCHI DI TRAMA
I buchi di trama sono molto pericolosi, perché fanno perdere credibilità alla storia. Tecnicamente sono anelli mancanti nella catena causa-effetto, delle aspettative fallite, degli elementi non sviluppati, delle scelte narrative non motivate. Se da un lato è vero che nel vissuto di un personaggio possano esistere dei fatti inspiegabili, magari delle coincidenze, degli accadimenti misteriosi e via dicendo, è anche vero che questi “buchi”, che siano o meno voluti, vanno gestiti in un certo modo. Questi vuoti di logica possono avere pesi diversi, a volte sono piccoli e dunque insignificanti rispetto alla struttura della trama, altre volte sono così grandi da far rischiare il collasso alle motivazioni portanti della vicenda. In questo ultimo caso è necessario colmarli oppure sfruttarli, sì, perché un buco di trama può essere colmato, ma anche utilizzato ai fini della storia, magari accentuandolo invece che nascondendolo, in modo che il lettore lo veda e lo interpreti come voluto. Insomma, rivelare ai lettori il buco facendo finta che tale non sia.
7. LA COERENZA
La coerenza è un problema molto frequente nei romanzi, più di quanto non si immagini. Quando il lettore inizia a leggere accetta di stipulare un accordo con lo scrittore e si dichiara disposto a credere a tutto ciò che gli verrà raccontato a patto che vi sia coerenza narrativa. Immaginate se ne Il Signore degli Anelli fosse apparso un UFO nel bel mezzo della battaglia nel Fosso di Helm, sicuramente sarebbe stato quanto meno sconcertante, anche se fino a quel momento il lettore se ne era rimasto verosimilmente immerso fra orchi, elfi e hobbit. Però alla plausibilità di simili creature è disposto a credere, mentre legge, ma certo non all’esistenza degli alieni, questo perché nel mondo ideato da Tolkien gli UFO non sarebbero narrativamente coerenti. Coerenza per uno scrittore vuol dire rimanere fedele alle premesse narrative della storia, alle promesse fatte e, in una trama classica, al legame causa effetto che consente il progredire della storia. Infine, la coerenza deve essere un punto fermo anche per i personaggi, non coerenti in quanto fermi nel loro status iniziale, bensì in termini, anche qui, narrativi: coerenti nel loro agire e reagire all’interno della storia cui stanno dando vita.
8. LA FORMA
Il cosa si avvalora del come, direbbe sempre Aristotele, ovvero quello che viene raccontato assume valore e significato anche in base al come viene raccontato: e qui nasce il dramma, in tutti i sensi. Qui ci riferiamo principalmente alla forma dello scritto, alla struttura sintattica, alle scelte stilistiche, come la punteggiatura, agli errori tralasciati. Chomsky fa riferimento a una «grammatica mentale» e a una «grammatica scritta», la prima lavora molto a livello inconscio, la seconda si articola in base a delle norme precise e consapevoli che richiedono una certa pratica di applicazione. La padronanza del linguaggio è un qualcosa che non dovrebbe mancare nel bagaglio di uno scrittore. Inutile dirlo, non è facile perdonare certi errori, e quando i lettori vi incappano… scappano. La storia potrà essere avvincente, i personaggi coinvolgenti ma un “cerano quattro uomini nella stanza” o un “c’è l’ho” stroncherebbero qualunque buona volontà. La grammatica mentale, ovvero le strutture linguistiche inconsce, e la grammatica scritta, le strutture elaborate a partire da una dimensione storica della lingua, non possono divergere tanto. Altrimenti c’è un problema da risolvere. In questo caso il modo migliore è leggere molto e fornirsi di tutti quegli strumenti, correttori grammaticali compresi, che possano aiutare nel formulare frasi corrette e, quindi, già per questo più efficaci. Ecco degli esempi: