Il ritmo riguarda le scene (intese come eventi narrativi, ovvero cambiamenti che fanno avanzare la storia). In particolare, il ritmo è condizionato, anzi determinato, dalla lunghezza delle scene: per quanto tempo manteniamo il lettore all’interno di una scena? La scena, lo ricordiamo, è individuabile come un’unità narrativa caratterizzata da circostanze spazio-temporali riconoscibili e che individuano la singola scena o l’insieme di scene (sequenza). Ed è frutto di precise scelte dell’autore.
Un romanzo corposo (parliamo di una trama classica) può contenere dalle quaranta alle sessanta scene, difficilmente meno. Il tempo che passa (dunque il ritmo) viene percepito dal lettore in base a quel che accade all’interno della scena: dialogo, azione, descrizione danno percezioni diverse rispetto al tempo narrativo, ragion per cui scene completamente espositive (prevalentemente descrittive per esempio) rallentano il ritmo, mentre scene incentrate su un evento (cambiamento) legato a un dialogo saranno molto più veloci. Una buona combinazione delle diverse tipologie di scena consente di governare il ritmo.
Immaginiamo un capitolo incentrato interamente sulla scrittura introspettiva che scandagli l’Io del protagonista, supponiamo che tale capitolo duri anche venti o trenta pagine e che, in definitiva, non accada niente, ovvero che il tutto serva soltanto a esporre le idee e la psiche del personaggio. Come ovvia conseguenza avremo un effetto rallentato della narrazione. Inserire una scena come questa non è di per sé un errore, ma diventa rischioso se la addossiamo al climax, quando la progressione degli eventi dovrebbe accelerare in vista del picco emotivo. Climax non vuol dire «apice improvviso», bensì «cambiamento profondo» cui il lettore andrebbe condotto mediante scene calibrate, ponderate e ritmate nel modo giusto, in base anche ai parametri compositivi del genere scelto.