Come scritto in altre occasioni, su questo blog, e come affrontato tante volte insieme con autori e allievi dei nostri corsi di scrittura, il dialogo è uno degli elementi più affascinanti e tecnici della narrazione. Il motivo è molto semplice: il lettore riconosce il personaggio attraverso i dialoghi, riconosce come essere umano, o come possibile essere umano che emerge dalla pagina e inizia a frequentare la sua vita, questo perché noi parliamo. Parlare è una caratteristica dell’essere umano, e quando non possiamo farlo con le parole troviamo altri modi per comunicare. Le relazioni umane si basano sulla comunicazione, conversazioni su questo e su quello, intorno a qualcosa e circa qualcos’altro. Sono un intreccio di parole consce e inconsce che si aggrovigliano dentro di noi e che si dipanano fra noi e gli altri, costruendo e disfacendo, appunto, legami e relazioni. Quindi, quando un personaggio parla si gioca tutta la sua credibilità agli occhi del lettore ed è soprattutto per questo che i dialoghi devono essere ben scritti.
PARLA DUNQUE ESISTE
Ogni volta che progettiamo un racconto, lavoriamo selezionando elementi e circostanze che rendano efficace la narrazione e ci permettano di “narrativizzare” il vissuto dei personaggi. Il dialogo è ciò che, più di tutto, mette in collegamento la vita interiore di un personaggio e la vita interiore dei lettori. Sono questi collegamenti empatici a rendere avvincente la lettura e a dare spinta narrativa al romanzo/racconto. Sappiamo che le trame non sono tutte uguali e che ogni genere narrativo formula in modo diverso i parametri compositivi che individuato le intenzioni narrative dell’autore, determinando l’andamento della storia. Volendo generalizzare, potremmo affermare, come dice McKee, che «più una storia contiene conflitti fisici e sociali, meno saranno i dialoghi; più una storia contiene conflitti privati e personali e più saranno i dialoghi», regola di massima, ovviamente, ma che ci permette di ribadire un’importante indicazione: i conflitti sono ciò che porta avanti la storia.
I CONFLITTI COME SPINTA NARRATIVA ANCHE NEL DIALOGO
I conflitti denotano sempre un divario fra ciò che il protagonista desidera e la realtà che si contrappone a questo desiderio. Questo divario, questa costante dialettica, deve essere presente anche nei dialoghi, anzi, per intessere una trama complessa è necessario lavorare sull’aspetto esteriore di quel che il personaggio dice mettendolo a confronto con le verità interiori che, in modo consapevole o inconsapevole, non manifesta all’esterno. Questa è, per l’appunto, la doppia dimensione del dialogo: aspetto esteriore (battuta di dialogo diretto) e aspetto interiore (scrittura interiore, non detto, flusso di coscienza, a seconda anche della consapevolezza del personaggio). I dialoghi migliori sono quelli che tengono conto di questa «doppiezza» dei personaggi e ricorrono a parole capaci di rifrangere le mille sfaccettature interiori. Il testo è in questa esteriorità; il sotto-testo è nell’interiorità. Il personaggio trasmette un messaggio esteriore che, però, ha una profondità alla quale gli altri personaggi non hanno subito accesso, ma vi ha accesso il lettore, o almeno la intuisce. Questo crea “tensione narrativa” più o meno marcata in base a quante cose sa il lettore delle reali intenzioni del personaggio stesso.
LA DOPPIA DIMENSIONE DEL DIALOGO
In definitiva, in un buon dialogo le parole possono manifestare i pensieri e i desideri consci del personaggio, lasciando intravedere, però, l’inconscio. Il rapporto conscio-inconscio è fondamentale per dare profondità al dialogo. I dialoghi migliori sono quelli che si formano nell’intercapedine fra il volto “pubblico” del personaggio e la sua vita interiore. I dialoghi deboli, quindi, non sono tali solo per la scelta di parole banali, ma anche per ragioni molto più profonde.
ESERCIZIO DI LETTURA CREATIVA
Provate a fare un piccolo esercizio di lettura creativa, cercando di individuare le reale intenzioni dei protagonisti del seguente dialogo tratto da Il grande sonno, romanzo del 1939 di Raymond Chandler:
«Devo dire che anch’io son una grande appassionata di cavalli. Ma voglio prima vederli un po’ al lavoro. Vedere se vincono di forza o d’astuzia. Capire che cos’è che li fa vincere, capire la loro natura» disse Vivian.
«La mia l’ha capita?»
«Credo. Con lei bisogna star lenti sulle briglie e lasciarla andare in testa. E non impressionarsi se rientra nel gruppo perché tanto è certo che si riprende nel finale».
«Neanche lei, però, ama le briglie», sorrise lui.
«Finora nessuno me le ha messe» si voltò verso i cavalli schierati «Lei ha qualche idea?»
«Dovrei?»
«Non vorrà lasciarmi scegliere al posto suo…»
«I Cavalli bisogna vederli al lavoro sul terreno. Certo, lei ha classe, però non so se resiste alla distanza».
«Molto dipende da chi è in sella, non crede?»
«Sì… C’è una cosa che non capisco però…»
«Qual è la mia natura?» Lo guardò: «Gliene darò un’idea, ma sappia che con me non serve lo zuccherino. Ci hanno già provato».
PICCOLE, BREVI, UTILI NORME
In generale, proviamo a ricordare sempre che:
- Trame scontate = dialoghi banali
- Trame televisive = dialoghi televisivi
- Dialoghi veloci e funzionali = superficialità
- Battute veloci = nessuna memoria riflessiva
I dialoghi non devono riflettere solo la vita intorno al personaggio, ma illuminare la sua vita interiore, perché è quello che il lettore cerca di fare con se stesso leggendo.