Quando leggiamo entriamo nella vita dei personaggi, se non ci fossero queste persone di carta, le storie non potrebbero esistere. Certo, gli autori possono suggerire delle alternative, per cui i personaggi possono essere creature fantastiche, alieni, animali… ma resta il fatto che il lettore vive la storia attraverso i protagonisti. Descrizioni evocative, trame solide, dettagli curati concorrono, come tanti altri importanti elementi, alla codifica narrativa dell’insieme, ma a nulla vale se i personaggi sono fiacchi, incoerenti, banali, prevedibili, vuoti.
Molti manuali distinguono fra personaggi piatti e personaggi a tuttotondo, invitando gli autori a preferire sempre i secondi. Secondo E. M. Forster (Aspetti del romanzo, 1927) il personaggio è piatto se costruito «attorno a un’unica idea o qualità», specificando, inoltre, che i personaggi piatti, ovvero bidimensionali e senza una particolare complessità psicologica, possono essere molto utili. Tanti personaggi del grande Charles Dickens sono piatti, ma chi dubiterebbe della loro efficacia? Essi agiscono e vivono nella pulsante convinzione che il bene e il male non possano essere confusi, dovendo spesso combattere contro le degradanti condizioni di vita cui sono costretti gli operai inglesi nel contesto del post rivoluzione industriale, contro la piaga del lavoro minorile, contro le inaccettabili differenze tra classi sociali. I suoi personaggi non sono sempre a tuttotondo, come si suol dire, ma sono ugualmente convincenti e indimenticabili.
A questo va aggiunto che spesso la profondità di un personaggio viene ridotta all’ambiguità morale (Il Trono di spade di Martin ha dettato legge in tal senso consolidando il culto dell’ambiguità letteraria), eppure non è l’ambiguità che dà profondità (non solo e non sempre) bensì le scelte, la volontà espressa mediante l’azione, il pensiero, il dialogo: le battute di dialogo cucite sul personaggio sono quanto di più importante per rendere indimenticabili certi protagonisti. Come può essere ricordato un personaggio che si esprime con frasi stereotipate, già sentite, magari da serie televisiva? I personaggi meno coinvolgenti non sono necessariamente quelli piatti, nel senso di chiaramente definiti e stabili nelle loro dimensioni esistenziali, ma quelli vaghi, privi di valori, di desideri, di conflitti. Parliamo di uomini e donne di tutte le età alle prese con il loro destino: più tale destino sarà loro avverso, motivando scelte intense e suscitando conflitti potenti, e più il lettore ne risulterà coinvolto.
La coerenza dei personaggi non sta nel non cambiare mai, ma nel cambiare in base alle circostanze e alle premesse della storia. Il cambiamento di stato è necessario, perché è il motore della storia, ma non per forza deve rivoluzionare il pensiero del personaggio. Pensiamo a Ulisse, un personaggio epico, straordinario, vero, umano, intenso, che parte con una convinzione e la porta avanti lottando contro gli dei pur di manifestare la forza delle proprie scelte. Di contro, Sherlock Holmes non è forse un personaggio piatto nel senso di quasi sempre uguale a se stesso? Si tratta di un detective consulente con modi particolari e bizzarre abitudini, un’intelligenza spiccata e sublimata dall’intuito fuori dal comune. Perfino gli elementi descrittivi che lo caratterizzano (non tutti presenti nelle storie originali perché aggiunti nelle versioni illustrate successive) sono diventati famosi e non cambiano mai: la pipa, il berretto da cacciatore, il mantello, il violino, il profilo aguzzo. Il lettore sa che il geniale detective non sbaglierà, non commetterà errori e, se ciò dovesse accadere, egli sarà in grado di correggere il tiro e risolvere il caso. Più piatto di così…
Ma come ha fatto Conan Doyle a inventare un personaggio tanto indimenticabile? Prima di tutto si è ispirato ad altri, in particolare a Edgar Allan Poe e al suo Auguste Dupin, romanzo capifila del genere noto come giallo deduttivo, ma c’è anche Monsieur Lecoq, il personaggio ideato dalla penna dello scrittore francese Emile Gaboriau. Partendo da esempi letterari vincenti, Doyle ha lavorato sul profilo del suo investigatore, elaborando una personalità unica che ruota intorno a dettagli sempre uguali nel tempo, supportando tutto con un arco di crescita più che stabile. Ecco dunque che va fatta un’ulteriore fondamentale considerazione: la natura del personaggio dipende anche dal genere letterario di riferimento, un’opportuna limitazione creativa che può aiutare l’autore.
Alla classica descrizione fisica, che pure è utile, devono aggiungersi dettagli illuminanti in senso introspettivo, per cui lo scrittore deve tentare di imprimere nella mente e nel cuore del lettore un’impressione assolutamente distintiva dei protagonisti. I personaggi (parliamo dei principali) devono emergere dalla pagina e diventare persone che il lettore non vorrebbe mai smettere di frequentare. Fisicità, tono di voce, sguardo, abitudini, atteggiamento, idee, parole ed espressioni verbali ricorsive, valori, etica, inquietudini, certezze: gli elementi portanti devono emergere un po’ alla volta, gli elenchi sono assolutamente da evitare, così come le descrizioni da “manichino in vetrina”. Questi elementi chiave devono intrecciarsi con i motivi della storia, avvalorare la trama e avvalorarsi grazie alla trama:
«Nei grandi narratori si coglie un elemento della fisionomia del personaggio] che diventa, senza un visibile partito preso da parte dello scrittore, il centro di gravità del ritratto, quello verso cui idealmente convergono tutti gli altri lineamenti e da esso l’insieme prende il suo senso».
[Giacomo De Benedetti, Il romanzo del Novecento, 1980, p. 37]
Dunque, non sono i particolari fisici o anagrafici a rendere indimenticabili i personaggi, bensì l’intima connessione fra questi e la storia. Tale connessione sarà tanto più efficace quanto più espressa attraverso l’agire e le scelte, evitando descrizioni eccessive, elenchi di vizi e virtù, profili ideologici e idealizzati, quanto pure profondità psicologiche quasi sempre frantumate e degeneranti in profili psicotici. Sicuramente i personaggi di Dostoevskij sono magnifici, ma non siamo tutti dei Dostoevskij, e dobbiamo dare voce ai nostri protagonisti, che siano voci originali in un mondo editoriale un po’ troppo ingombrato da fotocopie letterarie.
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