Un romanzo può avere, in media, anche ottanta o novanta scene (se non di più); il numero di scene dipende ovviamente da diversi fattori, non ultimo la lunghezza. Ogni scena contiene un evento, questo è un dato di fatto centrale nello sviluppo narrativo. Scene che non siano eventi sono per lo più espositive, magari semplicemente passaggi descrittivi, ma quando queste isole descrittive diventano tante, anche se molto ben scritte, possono annoiare: spezzano il ritmo, rallentano il dipanarsi dei fatti, ampliano troppo il campo visivo. Non tutti i lettori le apprezzano. L’equilibrio tra scene-evento e scene-esposizione dipende anche dal genere narrativo, ma, in ogni caso, le scene dovrebbero essere, preferibilmente, degli eventi.
L’ANDAMENTO DELLE SCENE
Scena ed evento
La costruzione di una scena diventa più semplice se partiamo da un presupposto: la scena è una micro storia nella storia. Così come la macro storia – che è il romanzo – ogni scena che lo compone si divide in una parte iniziale, uno svolgimento e un climax finale. La condizione iniziale in cui si trova il personaggio cambia in qualcosa di diverso; tale cambiamento può essere positivo o negativo. Perciò, ogni volta che disegniamo una scena dobbiamo partire dall’introduzione della condizione iniziale del personaggio, dobbiamo narrare quel che accade (attraverso l’agire del personaggio) e dobbiamo arrivare al punto di svolta, che conduce al climax. Se la scena è ben costruita l’inizio e la fine avranno qualcosa di diverso, perché ci sarà stato un cambiamento, più o meno importante a seconda del valore della scena e della posizione all’interno dell’Atto. Una scena risolutiva dell’Atto finale di una storia dovrà per forza di cose avere un determinato perso narrativo e il cambiamento che racchiude dovrà essere efficace ai fini della storia.
NARRAZIONE ED ESPOSIZIONE
Il senso del cambiamento
Immaginiamo una scena espositiva tipica di certi romanzi storici: campo di battaglia, soldati caduti, atmosfera lugubre e drammatica, informazioni storiche sull’evento. Il ripetersi continuo di scene come questa, pensate solo per esporre fatti storici o ambientare il lettore nell’epoca scelta, finirebbe per risultare “pesante” e poco soddisfacente a livello narrativo. Immaginiamo la stessa scena affidata allo sguardo di uno dei soldati (magari perfino morto) che come uno spettro si aggiri tra i compagni, questo darebbe maggiore impatto emotivo alla narrazione e ci aiuterebbe a raccontare i fatti dal punto di vista di un uomo vissuto nell’epoca, evitando così di incappare in lunghe spiegazioni.
“Così Mosca era vuota, quando Napoleone, stanco, inquieto e accigliato, camminava avanti e indietro presso il bastione del Collegio di Camera, aspettando la deputazione, e cioè l’osservanza d’una cerimonia esteriore, ma necessaria, secondo il suo concetto.
In diversi angoli di Mosca qualche persona si aggirava ancora, insensatamente, conservando le antiche abitudini senza comprendere che cosa facesse. Quando a Napoleone, con la dovuta cautela, fu annunciato che Mosca era deserta, egli guardò con collera colui che gli dava quella notizia e, voltandogli le spalle, continuò a passeggiare in silenzio”.
Così Tolstoj descrive l’incendio di Mosca nel capolavoro Guerra e Pace. La percezione di quanto accaduto risulta più vivida, perché, invece di descriverla in modo del tutto esterno e “storico”, l’autore sceglie di farla vivere a un «accigliato Napoleone». Nella scena l’umore del personaggio muta, si trasforma. L’evento è interiore, e dalla dolce idea di una facile vittoria l’Imperatore francese passa all’amarezza del senso di sconfitta, ritrovandosi in un infermo di cenere che lo ammutolisce. La forza della scena sta nel cambiamento che riguarda Napoleone e non nella descrizione dell’incendio in sé, anche se che è importante per ambientare e dare il senso delle circostanze.
MACRO STORIA E MICRO STORIA
Il desiderio e i desideri
Come nella macro storia, anche nelle singole scene il protagonista/la protagonista/i protagonisti seguono una pulsione precisa, l’incitamento di un preciso desiderio legato alle circostanze (tempo e spazio) della singola scena. Così, ogni scena ha un suo obiettivo, un micro scopo che deve andare a comporre l’avanzamento di trama volto al perseguimento del macro scopo, legato al desiderio principale del personaggio. In tutte le scene di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, Elisabeth Bennet è mossa da un macro desiderio, quello di evitare di cadere in un matrimonio infelice, e da tanti micro desideri legati alla scena: scampare a qualche proposta di matrimonio, zittire Darcy, scoprire la verità su cosa abbia allontanato Charles Bingley da sua sorella Jane. Ogni scena così costruita concorre a sviluppare la storia, che si risolverà solo quando Elisabeth Bennet avrà soddisfatto il suo desiderio più grande: sposare un uomo per amore e non per convenienza.
“Perché eri seria e silenziosa, e non mi davi nessun incoraggiamento.”
“Ma ero imbarazzata.”
“E io lo stesso.”
“Avresti potuto parlare di più con me quando sei venuto a pranzo.”
“Un uomo meno coinvolto, avrebbe potuto.”
“Che sfortuna che tu abbia una risposta ragionevole da dare, e che io debba essere così ragionevole da accettarla!”
[…]
“Il mio scopo reale era di vederti, e di giudicare, se possibile, quanto avrei potuto sperare di farti innamorare di me. Quello dichiarato, o meglio, quello che avevo dichiarato a me stesso, era di vedere se tua sorella fosse ancora attratta da Bingley, e se così fosse stato, confessare a lui quello che poi gli ho confessato.”
“Avrai mai il coraggio di annunciare a Lady Catherine quello che le sta per capitare?”
“Ci vorrebbe forse più tempo che coraggio, Elizabeth. Ma dev’essere fatto, e se mi dai un foglio di carta, sarà fatto subito.”