Le storie iniziano dal principio e per un essere umano il principio è la nascita. Tuttavia, benché la nascita sancisca l’inizio dell’esistenza per un individuo, per i personaggi non funziona in questo modo. Il vissuto esistenziale nella sua interezza riguarda l’autore, il creatore di quel personaggio, ma al lettore devono arrivare solo i “cambiamenti” ovvero quegli eventi dell’esistenza che portano a mutamenti, rivelazioni, epifanie, variazioni e via dicendo: «i nostri sistemi percettivi vengono azionati dai cambiamenti», quando siamo immersi in una situazione di stasi il nostro cervello è calmo e le emozioni non si muovono. È un’indicazione utile che giunge dal mondo delle neuroscienze e che può guidarci verso una gestione sagace ed efficace della narrazione (David Eagleman, 2011).
«La nostra esperienza di vita emerge proprio da questo tipo di attività neurale. Tutto ciò che abbiamo visto e pensato, ogni persona che abbiamo amato o odiato, ogni segreto custodito, ogni sogno vagheggiato, ogni tramonto, ogni alba, ogni dolore, ogni gioia, sapore o desiderio che abbiamo provato non sono che il prodotto creativo di tempeste di informazioni che circolano e scorrono tra regioni lontane del nostro cervello» (Will Storr, 2020). Benché venga spontaneo pensare al cuore quando parliamo di sentimenti (pensiamo per esempio a quante volte leggiamo nei romanzi espressioni che legano amore-cuore) è il nostro cervello che processa la informazioni lette nei romanzi, è la nostra mente che percepisce l’ambiente fisico in cui si muovono i personaggi, che elabora quel che dicono nei dialoghi e che, soprattutto, presagisce un cambiamento nella storia. Se la funzione principale del cervello, in base a quanto sostengono i neuropsicologi, è quella di “controllare” allora viviamo in un costante stato di percezione volto a rilevare tutti quei cambiamenti che hanno bisogno di questo controllo. in parole povere è normale che un cambiamento attiri la nostra attenzione.
È esattamente questo che fanno i più grandi narratori: «creano momenti di cambiamento inaspettato che catturano l’attenzione dei loro personaggi e, di riflesso, quella del lettore» (Will Storr, 2020). Aristotele la chiamava “peripeteia” cioé “svolta”, e attribuiva al cambiamento un potere assoluto all’interno dell’intera opera drammatica. Anche nel mondo della sceneggiatura vale lo stesso discorso, magistralmente riassunto dal produttore John York: «l’unica inquadratura che davvero interessa a qualunque regista televisivo […] è il primo piano di un volto nell’istante in cui cambia espressione».
Un esempio molto efficace di quanto il cambiamento possa essere potente in narrativa sono proprio gli incipit: Dove sta andando papà con quella scure? (E. B. White, La tela di Carlotta). Ovviamente, il cambiamento imprevisto (o argutamente annunciato) non è il solo modo per suscitare interesse, catturando l’attenzione del lettore, perché il mutamento sarebbe inutile se gli scrittori non facessero ricorso alla loro inventiva per incasellare i cambiamenti dentro i mondi che creano, rivelando ai lettori solo quel che serve e alimentando la loro curiosità con un uso appropriato e sapiente delle informazioni. Il cervello umano si mostra molto più reattivo e curioso quando si trova davanti a «set di informazioni» che percepisce come incomplete e che è portato spontaneamente a completare. Parola di neuroscienziati.