Joseph Conrad (1857-1924), di origine polacca, ha scritto prevalentemente in lingua inglese opere che hanno segnato il Novecento letterario: Lord Jim (1900), Nostromo (1904), L’agente segreto (1907), Cuore di tenebra (1902) per citarne alcuni. Viene spesso preso ad esempio per la ricchezza della sua prosa e per la sua capacità di rappresentare in modo vivido e profondo il cuore dell’uomo. Tra i suoi scenari preferiti ci sono le avventure di mare in cui, però, nasconde l’inquietudine di fronte all’indifferenza della natura, alla frequente cattiveria dell’uomo e alle sue battaglie interiori tra il bene e il male. Per Conrad, il mare significa soprattutto la tragedia della solitudine, ed è stato uno scrittore di complessa abilità e sorprendenti intuizioni, rese con introspezione intensamente personale.
Ebbene, quanto al domandarsi cosa voglia dire scrivere un’Opera artistica, Conrad ha una sua precisa idea: «L’arte del romanziere è semplice, ma allo stesso tempo è la più sfuggente di tutte le arti creative, la più suscettibile di essere oscurata dagli scrupoli dei suoi servitori ed elettori [lettori e consumatori], quella preminentemente destinata a portare problemi alla mente e al cuore dell’artista» che difficilmente trova pace, proprio perché il cuore dei lettori è volubile e le mode letterarie lo condizionano. Curiosamente, lo scrittore polacco sembra aver già colto nella sua epoca la traccia di quello che sarebbe successo dopo, la demolizione di un certo tipo di letteratura a opera dell’editoria di massa, o di consumo. Non si tratta soltanto di un distinguo tra editoria tradizionale, che è di per sé una transazione di diritti d’autore, ed editoria indipendente, che permette agli autori di gestire in modo autonomi i diritti; si tratta della sensibilità dei lettori, della natura del mercato editoriale, della tipologie di storie, della condizione esistenziale di scrittori e lettori. Conrad ha intuito che, a un certo punto, la letteratura sarebbe diventata un semplice prodotto di consumo.
Per Conrad, la «creazione di mondi» è di per é un’impresa molto difficile, a meno che lo scrittore non sia «divinamente dotato». Per questo lo studio e l’analisi delle circostanze, dei personaggi, delle situazioni sono di per sé imprescindibili. Ogni romanziere deve iniziare creando per se stesso un mondo, grande o piccolo che sia, in cui poter «credere onestamente». Infatti, se un autore non ha fiducia in ciò che scrive, come potranno averne i lettori? Il mondo che un autore crea è fatto «a sua immagine e somiglianza», non può dare tutte le spiegazioni e le risposte che il lettore cerca, perché è destinato a rimanere individuale. Nonostante ciò, perché il lettore possa vivere le storia e compenetrarsi con il vissuto dei personaggi, questo mondo narrativo deve assomigliare a qualcosa per lui di familiare, in termini di esperienza, emozioni e sensazioni. Per questo non è un’impresa facile: tutti possono inventare un’ambientazione di qualche tipo, una circostanza narrativa, degli accadimenti e metterci dentro dei personaggi, ma non tutti riescono a fare di tutto questo un romanzo che conquisti i lettori.
Ma l’autore polacco aggiunge anche un altro elemento fondante della vera narrativa intesa come Opera d’Arte letteraria, l’unica che può davvero conquistare qualcosa (che siano i lettori o che sia un posto nella storia): la verità. Nel cuore della narrativa, anche di quella meno degna di questo nome, si deve poter trovare una sorta di verità, una verità che può essere espressa in modi molto diversi. Conrad porta ad esempio i romanzi di Dumas padre, in cui la verità risuona con una certa forza; oppure la delicata verità, talvolta frammentata, dei romanzi di Henry James; o anche la verità comica e spaventosa raccontata da Balzac. Ogni romanzo gira intorno a dei temi che sono solo apparentemente originali, ma in realtà si ripetono, sono quelli che più di tutto smuovono gli esseri umani, e fra tutti la ricerca della felicità. Per Conrad questo è, quindi, il vero tema: «l’avventura dell’umanità tra i pericoli del regno della terra». Racchiuderlo in un’unica struttura narrativa, nel tempo di un romanzo, magari con la dovuta armonia, è una grande impresa. C’è chi tenta di farlo con un’intenzione seria, e non si ferma alla spinta del cuore che ignora la tecnica e non ha conoscenza delle strategie dell’arte del narrare, e comunque, anche in questo caso è un’ambizione notevole: «Infatti, ponderare un’Opera richiede un certo coraggio per intervenire con calma dove gli sciocchi potrebbero essere ansiosi di precipitarsi».
Conrad sottolinea quanto scoraggiarsi durante la stesura di un romanzo (o durante la scrittura più in generale) sia naturale, così come è naturale che uno scritture dubiti delle proprie capacità, proprio perché più si è consapevoli della grandezza di ciò che si vuole affrontare e più ci si dovrebbe mettere in discussione davanti al grande compito del raccontare. Resta la domanda che spesso porta inquietudine a chi scrive (o a chi cerca di farlo), ovvero perché scrivere? Ebbene, anche se l’arte di scrivere è grande e importante, alla fine «La massa di versi e prosa può brillare qua e là con il bagliore di una scintilla divina, ma nella somma degli sforzi umani non ha un’importanza particolare. Non esiste una formula giustificativa per la sua esistenza, così come per qualsiasi altro risultato artistico. Con le altre è destinata a essere dimenticata, senza lasciare forse la minima traccia». Ma gli scrittori hanno un privilegio unico e forse è questo che spinge alla scrittura: è il privilegio della libertà, la libertà di espressione e la libertà di confessare le proprie convinzioni più intime e questo «dovrebbe consolarli per la dura schiavitù della penna».
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