Ogni libro nasce da un’ispirazione e ogni autore raccoglie quell’ispirazione in modo diverso. Jessica D. Otto è l’autrice di un lungo racconto, Il dono della crisalide, pubblicato lo scorso agosto. La storia addentra il lettore in un mondo inquietante, ma con delicatezza, con luci soffuse e con parole… dolci; almeno all’inizio. Irene Müller, un’operatrice sanitaria della Chrysalis, società milanese, è la protagonista non più giovanissima di questa storia, padrona, in un certo senso, della vita e della morte di un altro personaggio, Denise Costa, chiacchierata signora dell’alta società. Abbiamo proposto qualche domanda a Jessica ed ecco l’intervista.
Nel tuo libro tratti argomenti molto particolari, diciamo in chiave distopico-futuristica, che riguardano il cosiddetto “fine vita”. Come mai hai deciso di affrontare proprio questo tema?
A volte trama e personaggi nascono dentro di me come se avessero una volontà propria, e l’unica cosa da fare è dare loro una forma più concreta. Perciò il tema del “fine vita” è in parte casuale, ma lo spunto legato all’ispirazione creativa mi ha dato l’occasione di approfondire a modo mio questo argomento. Penso infatti che ciò che smuove il pensiero umano siano l’amore e la morte, prima di tutto, per cui mi viene spontaneo cercare di mettere in risalto questi aspetti.
Hai svolto ricerche specifiche per scrivere questa storia?
Purtroppo no. Tante informazioni sono superficiali, spero che i lettori non ne abbiano a male. Ho indagato soltanto l’essenziale, infatti i nomi dei farmaci e dei tessuti sono di mia invenzione. Non mi sono soffermata sull’aspetto tecnico, volevo indagare il lato umano della situazione.
Uno dei temi del tuo libro sono le relazioni sociali, o meglio, la costruzione mediatica delle relazioni sociali. Vuoi dire che non tutto è come sembra?
Esatto. Il mondo del “dono” è molto simile al nostro. Si vive una vita fatta di successi, senza di questi tutto sembra perdere di significato. La morte nasconde in questo caso l’incapacità di affrontare la vita e di impegnarsi nelle relazioni con i familiari, gli amici e gli amori.
Irene, la protagonista del tuo racconto, vive in un mondo di relazioni personali frantumate. È una sua scelta o è tutto legato alla società che ha intorno?
Irene è una donna che, al pari di altri personaggi, ha perso il senso della vita e ora non ha più stimoli. Va avanti perché deve, e penso che a volte molti di noi attraversano questo stesso schema. È la società che ti imprigiona, e l’unico modo per uscirne è trasformarsi in un predatore: agli altri si possono lasciare solo le ossa, solo ciò che non ci è utile. Questo è il messaggio che la società di Irene trasmette, e forse anche la nostra: è l’unica opzione in una società che non offre alternative. Dovremmo cercare di ricordare invece che non siamo definiti dai nostri successi, né dai nostri insuccessi.
Questa è la tua prima pubblicazione, come l’hai vissuta?
In realtà non mi aspettavo di esordire con questa storia, l’ho scritta per divertimento, per cui è stata una piacevole sorpresa. Mi sento molto felice perché sto facendo ciò che amo fare, e per me questo è un bellissimo inizio.
Che consiglio daresti a chi volesse diventare scrittore o scrittrice?
A parte il fatto che non mi sento ancora una scrittrice… direi iniziare e continuare a scrivere. È importante vedersi con occhi critici, ma non troppo. A volte ci sembra che tutto vada male o che ciò che si scrive non vada mai bene, per questo credo che, oltre alla passione e alla perseveranza, il valore aggiunto lo da chi ti vuole bene. Intendo che bisogna avere accanto persone che si prendano cura di te, dei tuoi scritti e credano in ciò che fai. Amiche, fidanzate e fidanzati, compagni di scrittura e un buon editor. Anche se l’auto ha un motore, senza le ruote non va molto lontano.