Tutto può servire per comunicare storie, e a dirlo sono registi, scrittori, comunicatori, showrunner: romanzi e racconti, teatro, cinema possono essere “media” narrativi. Anche il gioco può essere un “media” per la narrazione, ma la narrazione non è per forza gioco, così come il gioco non è per forza narrazione e, soprattutto, il piacere che le persone traggono dai giochi non dipende per forza dalla loro capacità di raccontare storie. Il legame concettuale tra gioco e narrazione è oggi alla base di tanta produzione ludica, come i videogiochi, per esempio, ma anche altro; non meno il GDR con tutte le sue ambientazioni, ma il gioco non è intrinsecamente un mezzo di narrazione, lo diventa se c’è l’intenzione a renderlo tale. Sicuramente i GDR raccontano storie, ma non necessariamente aprendosi a una narrazione di fatto, a volte usano scenari/personaggi fissi e restano solo nella dinamiche cicliche dell’aspetto ludico. L’aspetto narrativo risiede soprattutto nel fatto che il Gamemaster generi le sessioni di gioco sull’intersezione tra gioco e storia, e descrivendo i “luoghi narrativi” in cui le due cose entrano in contatto, architettando circostanze e tempi in cui i giocatori possano “ruolare” i loro personaggi.
Ciononostante, esistono delle differenze tra gioco e storia.
Linearità della narrazione romanzata
Gli eventi di una storia codificata (scritta) si verificano nello stesso ordine e nello stesso modo ogni volta che qualcuno la legge. In altre parole, un romanzo, o un racconto, sono un’esperienza “controllata” secondo l’intenzione dell’autore, che la incardina in un tempo e uno spazio (grandezze narrative) grazie a scelte determinate che selezionano solo particolari eventi, disponendoli in un preciso ordine per ottenere un preciso risultato, in genere un forte impatto emotivo che susciti l’interesse dei lettori. Cambiando l’ordine e la qualità degli eventi la storia cambia, non è più la stessa, pur potendo esprimere la medesima intenzione dell’autore, segue percorsi codificati in modo differente, e non è detto, perciò, che susciti le stesse emozioni/riflessioni/considerazioni. Chiaramente, se le scelte dell’autore risultano efficaci, cioé se le sue intenzioni vengono ben espresse da quello che scrive, allora sta operando in modo efficace.
Non linearità del GDR
Anche il gioco è lineare? Non può esserlo negli stessi termini della narrazione, perché all’interno delle grandezze del gioco (tempo e spazio ludici) i giocatori possono modificare la linearità degli eventi e la loro qualità. In questo senso, un GDR non fornisce una narrazione organizzata, classica e lineare, perché prima ancora che “fissare degli elementi” deve preservare l’illusione dell’arbitrio che permette al giocatore di sentirsi in gioco. Anche se regolamento e ambientazione (nonché le decisioni del GM) possono limitare l’agire dei partecipanti, questi hanno comunque possibilità di scegliere, cosa che un lettore non può fare, a meno di completare la storia con un contributo emotivo personale o con la riscrittura, per esempio, ma questo rende la narrazione diversa rispetto a quella codificata dall’autore.
Le esigenze della storia
I lettori partecipano quando leggono, ma rispetto ai giocatori sono destinatari passivi in termini di costruzione della storia, che nel loro caso è codificata, perché segue un percorso lineare di eventi immutabile nell’ordine. I giocatori, invece, sono in grado di modificare quell’ordine e contribuire alla sua efficacia nella narrazione, dando senso e significato alle azioni dei personaggi. In altre parole, nel GDR c’è un legame diretto e immediato tra le esigenze della storia e quelle del gioco, nel romanzo no (non consideriamo qui le forme ibride come i Libri Game). Alla luce di queste considerazioni, cosa accade quindi quando trasponiamo l’avventura giocata in romanzo codificato? Se non si lavora in modo opportuno, la storia diventa meno soddisfacente: se il romanzo diventa troppo simile al gioco e l’autore non rende chiare le conseguenze dell’agire dei personaggi, perché vuole lasciare ai lettori l’arbitrio di decidere cosa accade, la narrazione rischia l’inconsistenza, l’eccesso di variabilità, l’incoerenza, la dispersione delle intenzioni primarie. I lettori non sono giocatori. Dobbiamo tener sempre presente che nella misura in cui rendiamo una storia più simile a un gioco – con percorsi ed esiti alternativi – la rendiamo meno efficace in valori narrativi, perché chiediamo al lettore di “mettersi in gioco” in termini ludici, ma non necessariamente narrativi.
Sperimentazioni non lineari
Intendiamoci, gli autori sperimentano spesso con la linearità delle storie e, certamente, esistono anche storie che lineari non sono. Nei romanzi di Julio Cortazar, per esempio, i capitoli possono essere letti in ordine sequenziale come in un’opera di forma convenzionale, dall’inizio alla fine, ma anche in un ordine alternativo. Perché questo? A che scopo? In questi casi la storia è costruita in modo da permettere ai lettori di leggerla in modo diverso (seguendo cioé linearità alternative) alla luce delle quali il significato delle azioni dei personaggi cambia e la vicenda può essere vista in una prospettiva rivelatrice che è nascosta nella “versione classica”, pur sempre, però, prevista. Proust e Joyce hanno prodotto straordinari romanzi non lineari.
Giocatore VS Lettore
Però non dobbiamo perdere di vista il punto chiave: cosa vuole un giocatore e cosa vuole, invece, un lettore. Il primo vuole costruire la storia, il secondo vuole viverla. L’obiettivo del lettore è arrivare a sciogliere la trama nei panni di un personaggio, ma le sue decisioni sono legate alla decodifica di un messaggio codificato in un determinato modo – anche se non lineare. Un giocatore, invece, si trova di fronte a una serie di decisioni, al seguire questa o quella strada, a un contesto preciso in cui le sue decisioni modificano effettivamente la successione degli eventi e il significato di ciò che accade; in altre parole, “vuole giocarsela fino in fondo”. Per cui, è vero che è il GDR è un’esperienza narrativa, ma sovrapporre nettamente le due dimensioni può essere riduttivo per l’uno e per l’altro nei rispettivi ambiti di espressione.
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