Molti aspiranti scrittori si pongono il problema di come pubblicare il loro primo libro, non solo perché la pubblicazione è un traguardo importante e significativo per un autore, ma anche perché, in un certo qual modo, è questo “miles” che da’ a chi scrive la percezione del suo essere diventato scrittore. Ma ci sono ancora Editori alla ricerca del talento perduto?
In un interessante articolo, datato 2013, dal titolo “Chi mi garantisce se sono davvero uno scrittore” l’editore Simone Pasquali pone questa opportuna domanda: “Chi e cosa decide la promozione allo status di scrittore?”
Non è banale.
Per diventare uno scrittore non basta scrivere, ma basta pubblicare? Pasquali non da’ risposte nette, quasi come a dire che in realtà non ve ne siano di così certe: “Non esistono un diploma, un esame di Stato, un albo degli scrittori. Chi scrive ha con la propria vocazione un rapporto complesso e stratificato. Da un lato ci sono spinte soggettive, profonde. Dall’altro c’è l’aspirazione al riconoscimento da parte degli altri. Ci sono soddisfazioni e delusioni, e bellissimi sogni che a volte si realizzano”.
Il problema rimane, cosa fa di uno scrittore uno scrittore? Sicuramente nessuno di noi metterebbe in dubbio che Melville sia stato uno dei più grandi autori della “Great America”, eppure il suo capolavoro, Moby Dick, sulle prime fu rifiutato e non fu semplice farlo pubblicare. Stessa sorte sarebbe toccata ad altri grandi capolavori, come Se questo è un uomo di Primo Levi o anche ad alcuni romanzi di Samuel Beckett, per non parlare di Lovecraft. Questo da un lato potrebbe consolare tanti aspiranti scrittori che si vedono rifiutare una pubblicazione, anche se ciò non vuol dire che tutti siano autori di futuri capolavori, molti manoscritti non meritano pubblicazione e tanti libri pubblicati non meritavano affatto di arrivare a tale traguardo, scritti più con la pancia, che con il cuore, sotto tutti i punti di vista.
La pubblicazione di un libro deve avere alle spalle, oggi più che mai, un editore capace di cercare il talento perduto. Le proposte sono tante, gli aspiranti scrittori spuntano come funghi, non per vanagloria, ma perché ogni uomo ha l’esigenza di narrare, da questo punto di vista siamo tutti narratori, ma non tutti scrittori. Narrare è un conto, scrivere è un altro. Servono molte qualità e servono anche formazione, testardaggine, assertività, e inesauribile umiltà.
Ma è l’occhio dell’editore che farà la differenza, sempre ammesso che non si decida per il self-publishing, che ormai sembrerebbe essere destinato a guadagnare sempre più mercato. Un esperto editore non si lascerà sfuggire un talento, riuscirà a vedere, dietro il narratore, le potenzialità di uno scrittore e potrà rischiare, su tale intuizione, una pubblicazione.
Pubblicare è un rischio, l’editore lo sa, ma non farebbe il lavoro che fa se non amasse questo rischio.