Generalmente, quando un autore, specie alle prime armi, decide di lanciarsi nella scrittura di un racconto si siede e inizia a scrivere, il che è normale, perché al desiderio di scrivere segue l’immediata messa in pratica: scrivere, appunto. E poi, spesso, si blocca. La creatività iniziale è, quasi sempre, di tipo emotivo, il che va benissimo, è il bello dello scrivere l’emozionarsi e l’emozionare, ma a un certo punto serve fermarsi a pensare per poter individuare l’orizzonte narrativo e trovare la giusta direzione di attuazione della storia. Nessuno produrrebbe un ponte solido senza avere un progetto e tanto meno riuscirebbe a costruire una casa senza fermarsi a riflettere sul come fare, dove mettere le finestre, dove aprire le porte. Progettare fa parte del costruire e un racconto non fa eccezione. Ciò detto, la parte forse più amata dagli autori, e più suggerita nei corsi di scrittura gestiti da autori professionisti, è lo studio del personaggio.
Normalmente, nel momento in cui un autore decine di impegnarsi con la sua storia, prende in mano i personaggi e cerca di chiarirne aspetto, motivazioni, psicologia. Questo processo può essere più o meno consapevole, ma è sicuramente naturale l’individuare il volto o i volti della storia. Ma si deve lavorare solo sul personaggio protagonista? Ecco cosa scriveva Anton Cechov a riguardo:
Involontariamente, quando si scrive un racconto, ci si preoccupa anzitutto della sua mole; nella massa dei protagonisti e semiprotagonisti si prende un solo personaggio – moglie o marito-, lo si colloca sullo sfondo e si mette in risalto quello solo; gli altri invece si sparpagliano su questo sfondo, come monetine spicciole, e ciò forma qualcosa che assomiglia alla volta celeste: una grossa luna attorniata da una moltitudine di stelle piccolissime. La luna però non viene bene, perché la si può capire solo se si capiscono anche le altre stelle.
In poche parole, i personaggi secondari non vanno trascurati, pur essendo magari solo comparse, la loro comparsa, appunto, deve avere un valore nell’economia del racconto. Per cui quando un autore lavora ai protagonisti, dovrebbe costruire, nel contempo, l’intrigo, ovvero il legame che c’è fra i personaggi principali e i secondari. E, nel caso decida di introdurre delle comparse nello sfondo, queste, pur non essendo frutto di chissà quali studi a tavolino, vanno inserite in base alle esigenze della storia, soprattutto per far emergere ulteriori dettagli e informazioni sugli stessi protagonisti. Normalmente per creare un personaggio un autore deve scrivere tutto quello che gli viene in mente in merito, ma per renderlo vivo può anche fare esattamente il contrario: sottrarre informazioni al profilo, ovvero da tutto ciò che costruisce e individua il profilo della persona. In pratica, deve sottrarre tutto quanto non serve ed estrarre quel che è essenziale ai fini della storia che intende scrivere, in questo modo dalla “persona” si arriva al “personaggio”. La persona è, infatti, una sorta di ideale punto di riferimento, cui l’autore attribuisce un vissuto, delle caratteristiche, una storia personale; il personaggio è, invece, una funzione narrativa che serve a raccontare le storie. La credibilità del personaggio è legata alla storia, al mondo diegetico, alla trama, non all’intera articolazione del suo vissuto.
Una persona ha una straordinaria complessità, ma se l’autore cerca di rendere questa complessità nella sua interezza rischia di raccontare di un qualcuno che, però, non è legato a una storia, una sorta di biografia ideale, insomma. Agendo per sottrazione, diminuendo perciò il grado di complessità del profilo in questione, si può arrivare al personaggio e diventa possibile rappresentare una precisa storia in forma narrativa. In questo caso il personaggio non emerge da una tavolozza piena di informazioni, ma da un ridimensionamento delle stesse, affinché il suo profilo divenga limpido e reso con pochi, essenziali tratti. Il resto va nel sotto-testo, nello sfondo, nella prospettiva d’insieme.
Questa strategia è particolarmente utile quando abbiamo bisogno di personaggi unidimensionali, perché magari lo scopo è quello di concentrarsi sulla trama e l’esigenza è quella di rendere i personaggi immediatamente riconoscibili, potremmo dire, a un primo colpo d’occhio. È bene non dimenticare che i lettori si immedesimano nei personaggi, non nelle circostanze o nei contesti narrativi, per cui se vogliamo coinvolgere i lettori lo studio del personaggio e l’equilibrio fra la sua storia personale e la trama è indispensabile.
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