Nel 1966 la Chiesa aboliva l’Index Librorum Prohibitorum, la cui prima versione era stata redatta nel 1559 dai teologi del Sant’Uffizio, organismo ecclesiastico istituito nel 1542 da papa Paolo III con lo scopo di salvaguardare la coerenza degli insegnamenti della fede cattolica e l’anima dei fedeli.
Censura e dissenso
L’Indice, in realtà, non è mai riuscito a imporre un controllo sulla lettura di libri ritenuti a vario titolo pericolosi, e anche per questo è stato abolito. «Il miglior modo per ottenere l’osservanza di un divieto è permettere le cose proibite», scriveva Joseph Boynton Priestley.
La censura aumenta il dissenso, ciò che viene proibito diventa ancora più desiderabile, un meccanismo inconscio che gli psicologi chiamano reattanza(in elettronica la forza di opposizione di un circuito al passaggio di una corrente elettrica).
Il fascino del proibito
Gli uomini, soprattutto gli adolescenti, avrebbero una naturale propensione a resistere alle proibizioni imposte. In una situazione di normalità le persone maturano un equilibrio tra la regola, il lecito, la morale, la società e la libertà personale; ma ci sono individui in cui questo meccanismo psicologico porta a resistere a ogni costo a chiunque cerchi di limitarne la libertà di scelta, fino a gesti estremi e rovinosi, per se stessi e per gli altri.
E dunque: se l’Indice dei libri proibiti è sempre stato avversato e inquadrato come un controllo oscurante, se l’uomo sarebbe per sua natura portato se non altro a interrogarsi su ciò che gli viene proibito ha davvero senso impedire ai grandi Store come Amazon di vendere libri considerati pericolosi?
Titoli scomodi
White Power di George lincoln Rockwell, fondatore del partito nazista americano, The white rabbit handbook degli Illinois Patriot Freeedom Fighters Militia, The turner diaries di Andrew Macdonald;
e poi ancora il Mein Kampf di Hitler, la Dottrina del Fascismo di Mussolini, Fiorito e Piraino, il Libretto rosso di Mao e altri libri di ideatori di movimenti estremisti, di destra o di sinistra, saggi complottisti, studi su scienza di confine, discutibili riproposizioni storiografiche sono alcune delle possibilità di acquisto offerte su Amazon (e non solo).
La protesta contro Amazon
Nel luglio scorso l’Action Center on Race & the Economy (insieme di organizzazioni che si oppongono al razzismo e promuovono la responsabilità finanziaria dei grandi gruppi) ha promosso una campagna piuttosto aggressiva contro Amazon, accusando il colosso di favorire il razzismo planetario attraverso la vendita di libri che dovrebbero essere proibiti. Il potente Store on line si difende: «In qualità di rivenditori di libri offriamo ai nostri clienti la possibilità di esaminare diversi punti di vista e mettiamo loro a disposizione anche libri che alcuni potrebbero ritenere discutibili».
Dilemmi utili
È il libro il problema o l’uso che se ne fa? È davvero possibile che la lettura di un testo possa alimentare intolleranza e razzismo là dove non ci sono? Oppure è la ricerca di certi argomenti che individua già un’attitudine presente? La costruzione di una coscienza collettiva in grado di individuare un reale problema di intolleranza e violenza potrebbe essere valida alternativa alla proibizione?